Rendita e capitale: un confronto corretto

Il sistema italiano di previdenza complementare si caratterizza per la quasi totale assenza di prestazioni in forma di rendita, indice di un distorto funzionamento del sistema previdenziale.

 

E’ del tutto evidente che un insieme di regole finalizzate a fronteggiare esigenze di sopravvivenza nell’età post lavorativa dovrebbe portare a un equilibrato sbocco verso forme di reddito legate alla sopravvivenza, tipicamente la rendita vitalizia, la tipologia di prestazione che evita al pensionato di sopravvivere alle proprie risorse e richiedere assistenza sociale.

 

La quasi inesistente domanda di rendite è motivata da diversi fattori. In primo luogo non è incentivata dall’attuale disciplina e, di fatto, l’aderente può ottenere l’intero importo maturato in forma di capitale, è infatti possibile richiedere il riscatto totale se l’importo della rendita (immediata e vitalizia, non reversibile) calcolato sul 70% del montante genera una rendita inferiore al 50% dell’assegno sociale. Il parametro, quindi, per valutare l’impatto sulla richiesta è il capitale accumulato. La disciplina in vigore prevede che il montante da considerare sia calcolato al netto di eventuali anticipazioni richieste in fase di adesione. Se queste ultime sono consentite con un’elevata discrezionalità, in particolare se è previsto che il 30% possa essere richiesto senza vincoli, la diffusa domanda di questo tipo di anticipazione può abbassare la soglia del capitale da prendere in considerazione per il calcolo, specie se l’importo dell’assegno sociale è basso, in quanto concepito per consentire la sopravvivenza di una persona senza reddito.

Un ulteriore possibilità di ottenere l’intera prestazione in forma di capitale è poi rappresentata dalla RITA che, sebbene richieda il possesso di determinati requisiti, consente, all’avvicinarsi dell’età pensionabile, di riscattare la posizione anche se erogata in forma periodica.

 

La possibilità di ottenere l’intero importo in forma di capitale pone la scelta della rendita in posizione di debolezza perché i decisori manifestano una forte e generalizzata propensione a favore del capitale per l’influsso di molteplici fattori che portano ad adottare scelte non dotate di razionalità finanziaria.

Volendo confrontare le due alternative, occorre considerare i flussi di cassa ad esse associate: il capitale accumulato genera un flusso iniziale certo e flussi futuri aleatori relativi al reddito derivante dall’investimento, al netto dei bisogni via via coperti.

Per contro, la rendita genera flussi periodici aleatori per tutto il periodo di effettiva sopravvivenza.

 

L’alternativa capitale è sicuramente molto più elastica della rendita. Ad esempio consente di finanziare investimenti o permette di fronteggiare picchi di spesa per esigenze sanitarie significative, tipiche dell’età avanzata, ovvero può essere utilizzata per lasciare risorse ai propri eredi o beneficiari.L’inclusione nella valutazione di finalità diverse da quella previdenziale rende il confronto indeterminato e porta alla preferenza sistematica per l’alternativa più flessibile.

Un confronto corretto dovrebbe tuttavia poggiare sul fatto che le due alternative siano valutate per lo scopo originario per il quale furono previste, cioè per fronteggiare l’esigenza di sopravvivenza. La stima della propria sopravvivenza è un importante fattore di analisi delle decisioni e oggetto di studi rivolti a investigare i criteri con cui le persone valutano le variabili aleatorie che più riguardano la loro sfera intima profonda, come la morte e, quindi, la sopravvivenza. Un ruolo importante gioca anche la comparazione tra il capitale certo ottenibile all’inizio e i flussi prevalentemente aleatori della rendita. In generale le persone tendono a sopravalutare possibili perdite e a sottovalutare possibili guadagni. In questo ambito si è portati ad attribuire particolare valenza all’ipotesi di morte in tempi brevi dopo il pensionamento, con la conseguenza di non recuperare l’importo accumulato e a non dare il giusto valore alla possibilità di ottenere un flusso superiore in caso di più lunga sopravvivenza.

 

Anche per la complessità del meccanismo di calcolo della rendita e in conseguenza della ridotta conoscenza assicurativa, ha poca importanza per il pensionato sapere che il flusso di rendita, grazie al principio mutualistico, è superiore a quello che si otterrebbe con un investimento finanziario con lo stesso profilo rischio-rendimento e che il sinistro da coprire è proprio la sopravvivenza, mentre la mortalità elimina il fabbisogno. I comportamenti sono anche influenzati dal livello di educazione finanziaria e previdenziale.

 

E’ importante valutare tipologie di offerta che tengano conto delle preferenze manifestate dalla clientela e che possano rendere la rendita più appetibile. In questo senso l’offerta di un insieme di coperture appositamente previste per la fascia di età della clientela in età relativamente avanzata potrebbe essere particolarmente efficace. A questo riguardo potrebbe essere considerata con interesse anche una rendita vitalizia il cui importo aumenta in caso si manifesti una perdita della capacità a svolgere gli atti della vita quotidiana.

 

Occorre tuttavia valutare attentamente i pesi e le misure per incentivare l’opzione in rendita, mantenendo allo stesso tempo un adeguato livello di discrezionalità per l’iscritto ed operare in modo che l’offerta corrisponda il più possibile alle esigenze dei richiedenti e che sia fornita in modo corretto e trasparente per consentire scelte razionali e consapevoli.

 

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