Le pensioni hanno da sempre rappresentato uno dei punti caldi della riforma in tema di welfare. A fine 2021 terminerà la possibilità di uscita anticipata a 62 anni di età ed almeno 38 di contribuzione, la così detta Quota 100, e il governo dovrà prendere importanti decisioni per il futuro.
E’ tuttavia necessaria una revisione più ampia del sistema previdenziale pubblico a partire da una uniformazione dei criteri adottati nel regime di calcolo retributivo/misto rispetto a quelli utilizzati nel sistema contributivo puro. Il sistema retributivo presenta, infatti, regole più flessibili sia per l’uscita anticipata che nella garanzia di integrazione al trattamento minimo di pensione.
I vincoli di pensionamento nel sistema contributivo puro
Il diritto per la pensione di vecchiaia, nel biennio 2021-2022, è raggiunto al compimento del 67° anno di età ma a condizione si siano maturati altri due vincoli.
Contestualmente sono necessari 20 anni di anzianità contributiva e un importo dell’assegno almeno pari a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale, pari a circa 690 euro mensili. Se non si raggiungono anche questi ulteriori due vincoli l’età pensionabile passa da 67 a 71anni, quando la pensione viene erogata con almeno 5 anni di contribuzione versata.
Si parla quindi di una differenza di ben 4 anni rispetto a coloro che si trovano in regime di calcolo misto, 71 anni contro i 71.
L’opportunità di pensionamento nel sistema contributivo puro
Ai vincoli analizzati sopra, i lavoratori che si trovano in regime di calcolo contributivo puro possono beneficiari di un’opportunità di alcuni meccanismi di uscita anticipata non previsti per coloro che si trovano in regime di calcolo misto.
In alternativa a quanto appena esposto, i lavoratori iscritti nel sistema contributivo puro possono beneficiare di un meccanismo di uscita anticipata che prevede la maturazione di almeno 64 anni di età con 20 di anzianità contributiva, ma in questo caso l’importo dell’assegno deve risultare almeno pari a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale.
Tradotto in cifre, bisogna raggiungere una pensione lorda di almeno 1294 euro al mese. Una cifra che difficilmente può essere raggiunta soprattutto per coloro che hanno vissuto situazioni di carriere discontinue. Si pensi, ad esempio, alle donne che si dedicano a servizi di cura della famiglia piuttosto che ai lavoratori precari.
L’alternativa per la pensione anticipata è aver maturato almeno 42 anni e 10 mesi di contribuzione (un anno in meno per le donne) indipendentemente dall’età anagrafica.
In questo caso il problema principale si riscontra nella difficoltà di maturare una storia contributiva adeguata, soprattutto in un mercato del lavoro come quello attuale dove è facile incorrere in vuoti contributivi dovuti a periodi di inoccupazione non adeguatamente coperti da tutele.
Il trattamento minimo di pensione
Un’ulteriore considerazione da fare è quella relativa all’integrazione al trattamento minimo di pensione. Il regime contributivo puro, infatti, non prevede la tutela all’adeguamento alla pensione minima e questo aspetto interessa tutti coloro privi di copertura previdenziale al 31 dicembre 1995. Questo significa che interessa non solo i giovani ma anche molti cinquantenni, lavoratori che si stanno avvicinando alla pensione e che non possono di certo essere considerati giovani.
Senza un intervento del legislatore, questi lavoratori dovranno confrontarsi con la rigidità dei meccanismi propri del sistema contributivo puro.