Se davvero il Governo, come sembra, ha intenzione di permettere ai lavoratori di anticipare l’età pensionabile rispetto ai termini previsti, questo comporterebbe una ricaduta, in termini di costo, sia sul bilancio pubblico (maggior esborso di cassa nell’immediato) sia per le tasche dei futuri pensionati (riduzione dell’assegno).
Tralasciando il problema dei vincoli posti dall’elevato debito pubblico e dai programmi di tagli alle tasse promessi (dove prenderà i soldi il Governo?) analizziamo meglio il costo previsto e la riduzione della pensione che l’operazione potrebbe comportare.
L’onere finanziario e le ipotesi sul tavolo
Se prendiamo come esempio la proposta del 2103 a firma Cesare Damiano e Pier Paolo Baretta che prevede, per ogni anno di anticipo, un taglio dell’assegno da un 2 a un 8 per cento (in pensione a 62 anni con 35 di contributi), l’INPS ha stimato i costi, nell’ipotesi del tutto teorica che tutti i lavoratori vi aderissero, in 8,5 miliardi di euro l’anno. Graverebbe ancor di più l’ipotesi di “quota 100” (somma tra età e contributi), proposto, con alcune modifiche, anche dalla Lega. L’INPS stima i costi in circa 10,6 miliardi di euro l’anno. Infine c’è l’ipotesi del Presidente Tito Boeri che propone il sistema di calcolo contributivo per coloro che volessero anticipare il pensionamento: in questo caso l’onere sarebbe minore ma con un taglio della prestazione che potrebbe arrivare al 30%.
La riduzione dell’assegno
Secondo una simulazione effettuata dalla società di consulenza “Progetica“, una riduzione costante annua del 3%, a fronte di un anticipo fino a 63 anni, per un lavoratore gli effetti sull’importo della pensione variano, in negativo, tra un – 28% e un – 20%, in funzione dell’età. Questi valori sono dovuti all’effetto della riduzione oltre la prevista penalizzazione dovuta all’anticipo. Tuttavia bisogna considerare che nel corso degli anni di anticipo si incassa un assegno, seppur ridotto, che non si sarebbe altrimenti percepito; la riduzione annua, di fatto, compensa l’anticipo rispetto alla normale pensione di vecchiaia. Sempre secondo Progetica, la riduzione effettiva, sulla base delle aspettative di vita, compresa tra il 7% e il 10%. In ogni caso la convenienza di un eventuale anticipo è sempre in funzione di variabili soggettive e della singola posizione personale: in certi casi sarebbe meglio iniziare a percepire la pensione ridotta a 63 anni, in altri massimizzare l’assegno sino alla normale età prevista.
L’ipotesi di riduzione

Se possiamo essere d’accordo sull’introduzione di una flessibilità in uscita è altrettanto necessario trovare una proposta che non sia troppo penalizzante per il lavoratore ma che tenga anche conto delle necessità del Governo le cui disponibilità finanziarie sono molto risicate. Persino l’ex Ministro Elsa Fornero è intervenuta in merito dichiarando che, passata l’emergenza del 2011, sia arrivato il momento di introdurre qualche forma di flessibilità. A patto, avverte l’ex Ministro, di non trasferire troppo debito sulle generazioni future, già gravate dal fardello-record ereditato dal passato.