Consulenza: pensione futura o al tempo zero?

consulenzaIl pensionamento è una meta, più o meno lontana, verso cui tendiamo tutti. Il sogno di raggiungerla presto cambia, generalmente, in funzione del lavoro svolto: i lavoratori dipendenti sono quelli che vorrebbero arrivasse il prima possibile il momento di smettere di “timbrare il cartellino” o di dover “chiedere un permesso per poter sbrigare faccende personali”; il lavoratore autonomo e,ancorpiù, il libero professionista tendono, invece, a soffrire di meno l’attesa del pensionamento, se non altro per il motivo di aver scelto l’attività lavorativa. Per tutti, in ogni caso, si presenta oggi il problema di dover provvedere a una vecchiaia serena almeno sotto il profilo economico. Le numerose riforme che si sono succedute nel corso degli ultimi 20 anni hanno, infatti, cambiato radicalmente le regole  lasciando il posto alla certezza di una pensione decorosa da parte dello Stato alla consapevolezza di dover fare qualcosa in proprio per garantirsela.

La maggior parte delle persone è convinta di poter fare poco per la propria pensione futura, mentre invece molto si può fare per costruire la strada che porta al pensionamento. Scegliendo, per esempio, la strada della previdenza complementare. Il problema è che in questo campo la confusione è tanta e non è facile riuscire a districarsi. Per risolvere il problema della pensione non è sufficiente aderire a una forma di previdenza complementare; aderire a un Fondo pensione è come acquistare un autovettura, si devono comprendere le caratteristiche dei vari modelli e capire qual’è il più adatto alle proprie esigenze e disponibilità.

A questo tipo di esigenza dedicheremo un apposito articolo prossimamente, ora occupiamoci dei “bisogni previdenziali” e del ruolo della consulenza.

L’esigenza previdenziale

Il punto di partenza di una corretta pianificazione previdenziale è capire il proprio bisogno pensionistico, perché i bisogni non sempre sono palesi, non sempre sono chiari e soprattutto percepiti.
Prendiamo ad esempio un giovane lavoratore, impegnato a soddisfare bisogni più prossimi come la carriera, la famiglia, la casa, i figli ecc…… con una retribuzione che non permette alcun tipo di risparmio.
In genere l’operatore (consulente) tende ad evidenziare la scopertura che la futura pensione di vecchiaia o anticipata avrà rispetto alla retribuzione (il cosiddetto tasso di sostituzione). Corretto da un punto di vista di “pensione futura” ma assolutamente scorretto da un punto di vista consulenziale! Perché oltre alla pensione futura ci si dovrebbe preoccupare anche della pensione al “tempo zero“, ossia di quella prestazione erogata in caso di grave invalidità e/o premorienza.

A quanto ammonta una pensione di invalidità o ai superstiti per un lavoratore che ha iniziato la propria attività (da dipendente, autonomo o libero professionista, non fa alcuna differenza) da 10 anni?

Prendiamo il caso concreto di un lavoratore autonomo con reddito medio lordo di 25.000 euro annui che lavora da 10 anni. Il montante contributivo accumulato è intorno ai 60.000 euro. L’importo della pensione d’invalidità non supera i 190 euro mensili! E, in caso di pensione ai superstiti, al coniuge spetterebbero, invece,  poco più di 110 euro mensili!

Che senso ha, da un punto di vista consulenziale, parlare di integrazione pensionistica per un “rischio” che potrebbe accadere tra 30-40 anni e non preoccuparsi invece di un qualcosa che potrebbe accadere oggi?

 

 

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