Mancano meno di 3 mesi alla fine di Quota 100 e alla scadenza dell’opzione donna e dell’APE sociale ed ancora tutto tace in merito alle possibili novità che il Governo dovrebbe mettere in campo per evitare il ritorno “tout court” alla legge Fornero e lo scalone di 5 anni che si verrebbe a creare nella notte tra il 31 dicembre 2021 e il 1° gennaio 2022 per poter accedere alla pensione.
Ad oggi i lavoratori sono lasciati nella più assoluta incertezza su quello che potrebbe accadere e da parte del Ministero del Lavoro il tema ricorrente è sempre stato quello delle politiche attive del lavoro, lasciando solo successivamente spazio ad un intervento sulla riforma delle pensioni.
In questi ultimi mesi abbiamo assistito a tante (forse troppe) proposte sia da parte dei sindacati che da parte dei partiti, dal possibile pensionamento per tutti con 41 anni di contribuzione con calcolo della pensione esclusivamente in regime contributivo a forme di flessibilità in uscita a partire dai 62 anni di età, dal pensionamento a 63 anni con una riduzione dell’assegno di 1,5 punti percentuali per ogni anno mancate al compimento del 67° anno di età alla proposta di pensionamento a 62 anni di età con penalizzazione del 2% per ogni anno mancante al 66° e così via.
Tante proposte, diverse tra loro che giacciono in Commissione Lavoro e che dovrebbero essere approvate entro la fine dell’anno.
Il problema è uno solo e rimane sempre lo stesso, reperire le risorse necessarie, il medesimo problema che si presenta ogni volta che si affronta una qualsiasi tematica, una riforma da approvare, una questione da risolvere.
Al di là dell’aspetto finanziario, la soluzione definitiva ma anche più equa e logica in tema di pensioni sarebbe sicuramente quella della flessibilità in uscita, lasciare al lavoratore la possibilità di scegliere il momento del pensionamento a partire da un’età minima con le giuste riduzioni dell’assegno.
Sono ormai trascorsi 26 anni da quando la riforma Dini aveva introdotto la flessibilità in uscita a partire dal 57° anno di età, ognuno era libero di poter scegliere quando cessare l’attività lavorativa ben sapendo che l’importo dell’assegno si sarebbe ridotto in funzione dell’età scelta.
Oggi siamo ancora a discutere sul cosa fare, la domanda è inevitabile: per quale ragione la flessibilità in uscita è stata abolita e dopo 26 anni siamo ancora a parlarne?