Gli ultimi dati pubblicati dalla Covid in merito all’andamento del sistema della previdenza complementare nel primo trimestre dell’anno riflettono solo parzialmente gli effetti della crisi pandemica.
Alla fine di marzo 2020 il numero di posizioni in essere è di 9,185 milioni e la crescita, pari allo 0,7%, è stata limitata rispetto ai trimestri precedenti. I fondi aperti e i negoziali hanno registrato l’incremento maggiore, rispettivamente l’1,2% e l’1% (nel secondo caso la crescita è stata in particolare sostenuta dal fondo Prevedi , per il quale opera l’adesione contrattuale). Sotto il profilo delle risorse destinate alle prestazioni, nello stesso periodo il patrimonio gestito dai fondi pensione ha superato i 180 miliardi di euro, in calo del 2,3% rispetto a dicembre 2019. Nel dettaglio, tutte le forme pensionistiche hanno registrato una diminuzione nel periodo in esame a causa delle turbolenze sui mercati finanziari e delle perdite in conto capitale, a fronte di una tenuta dei flussi contributivi: per i fondi negoziali la flessione è stata del 4,3% e per i fondi aperti e i PIP “nuovi”, rispettivamente, del 5,7% e dell’1,4%.
Le ripercussioni della crisi sui listini azionari sono state pesanti: nei principali Paesi, gli indici dei corsi sono scesi di circa il 20- 25% e la volatilità è risalita su livelli che non si registravano fin dai tempi della crisi finanziaria del 2008. I risultati delle forme complementari ne hanno, di conseguenza, risentito: i rendimenti del primo trimestre sono stati negativi e di entità maggiore soprattutto per i comparti bilanciati e azionari (vedi tabella), dopo un anno che al contrario era risultato particolarmente positivo.
Tuttavia, con una valutazione su un orizzonte temporale più lungo, coerentemente con l’obiettivo del risparmio previdenziale, l’impatto della crisi appare più limitato. Nei dieci anni da inizio 2010 a fine 2019, il rendimento medio annuo composto è pari al 3,6% per i fondi negoziali, al 3,8 per i fondi aperti e per i PIP di ramo III e al 2,6% per le gestioni separate. Risultati che, nello stesso periodo, battono la rivalutazione del TFR, pari al 2%. Anche volendo includere i rendimenti negativi degli ultimi tre mesi, i rendimenti a 10 anni e 3 mesi restano positivi e superiori alla rivalutazione del TFR, pur riducendosi al 3% per i fondi negoziali e i fondi aperti e al 2,4 per i PIP di ramo III e al 2,5 per le gestioni separate.
Per quanto riguarda le prestazioni, l’Autorità di vigilanza nel comunicato stampa del 19 maggio scorso ha rilevato come per il momento non sia registrato un incremento delle richieste; anche per quanto attiene ai flussi contributivi, i dati relativi al primo trimestre sono in sostanziale continuità con quelli inerenti al corrispondente periodo dell’anno precedente.