Se è vero che la pensione è una problematica con cui tutti, prima o poi, dovremo confrontarci e per questo estremamente delicata ed importante, è altrettanto vero che spesso è oggetto di strumentalizzazioni e cattiva informazione da parte di chi, “pro domo sua”, ne fa’ un uso scorretto, al confine con la mancanza di rispetto del cittadino.
Tanti sono gli esempi che vanno in questa direzione, oggi proviamo ad affrontare quello della “flessibilità in uscita“, un tormentone che tutti i giorni non manca di impegnare l’attività dei nostri politici e occupare le pagine dei media e le trasmissioni di talk show.
Durante una trasmissione mattutina su La7, il Presidente della Commissione Lavoro alla Camera Cesare Damiano, ex Ministro del welfare e tra i più accaniti difensori della proposta, è intervenuto ancora sull’argomento. Ecco che cosa ha detto:
“La questione è nota, stiamo discutendo in commissione lavoro di una proposta che io ho depositato nel 2013 assieme all’On. Baretta, all’On Gnecchi e firmata da molti altri parlamentari, che prevede la flessibilità. Allora, secondo i miei calcoli ritengo che si possa mettere mano alla flessibilità non avendo dei costi o avendo dei costi minimi” prosegue l’ex Ministro del lavoro, indicando come la misura allo studio possa risultare compatibile con la sostenibilità dei conti pubblici. La nostra proposta – ha aggiunto – è abbastanza semplice: oggi si va in pensione a 66 anni e 7 mesi, questo è lo standard attuale per gli uomini. Anticipiamo di quattro anni, quindi a 62 anni e 7 mesi. Naturalmente lo sappiamo, l’età di pensione aumenta con il tempo. C’è poi un requisito di base: bisogna avere 35 anni di contributi, oppure di più. L’altro requisito è un taglio dell’8% sull’intero assegno, perché se ce l’ho prima intero è un costo puro e semplice. Se noi abbiamo questi requisiti, se si fanno i conti proiettandoli, si scopre una semplice verità: che noi avremmo un costo iniziale, ma se si considera che all’età normale la pensione è più alta […] abbiamo grosso modo 20 anni di risparmio. Infatti, sull’altro lato della bilancia arriviamo a coprire il costo degli esborsi dei primi quattro anni, quindi sarebbe a costo zero nel lungo periodo. Poi io so perfettamente che bisogna guardare la cassa. Allora rispondo chiedendo di fare una discussione politica e dimostrando che possiamo stare in equilibrio. Possiamo dunque dimostrare – ha concluso – conti alla mano, che il costo dell’uscita anticipata dal lavoro di quattro anni può essere coperta nei 20 anni successivi grazie agli assegni più bassi. Le penalizzazioni purtroppo, sono inevitabili”.
L’ex Ministro dovrebbe essere un po’ più chiaro su alcuni punti della sua tesi:
- La flessibilità in uscita è a costo zero oppure richiede, almeno nell’immediato, un ulteriore aggravio di costi per questo Paese che, tra i tanti record, ha anche quello di aver sfondato i 2.220 miliardi di euro di deficit?
- Cosa significa esattamente “sarebbe a costo zero nel lungo periodo?”
- A cosa serve “fare una discussione politica” se prima non si trovano le risorse necessarie? E se sono proprio loro (i politici) a non volerle cercare nell’unica voce realmente possibile che è la spesa pubblica?
- Perché invece che continuare in questo accanimento terapeutico non si mette mano al vero problema che non è quello previdenziale ma quello della garanzia di un posto di lavoro stabile per i nostri giovani?
Caro Presidente della Commissione lavoro vogliamo convincerci che l’INPS è l’Istituto Nazionale per la Previdenza sociale e non l’INPAS, Istituto Nazionale per la Previdenza e Assistenza sociale?’