Con il metodo contributivo l’importo della pensione è determinato sulla base di tutti i contributi versati, quindi ogni anno si considera la retribuzione (dipendenti) o il reddito (autonomi) imponibile ai fini contributivi, tale retribuzione/reddito viene moltiplicata per la relativa aliquota di finanziamento, determinando nella sostanza i contributi versati a favore del lavoratore.
Il massimale di reddito
Occorre ricordare che con il sistema di calcolo contributivo puro (quello previsto per i lavoratori privi di anzianità alla data del 31 dicembre 1995) la retribuzione/reddito annuo soggetta a contribuzione è limitata a un massimale che, per il 2016, è pari a 100.324,00 euro (invariato rispetto a quello del 2015).
Quindi per i soggetti che percepiscono redditi più elevati la contribuzione viene determinata sino al massimo importo stabilito, (generando, a parità di situazione con un altro lavoratore che ha iniziato la sua attività prima del 1996 un incremento del reddito netto percepito e un risparmio del costo del lavoro per l’impresa), però anche l’assegno previdenziale ne risentirà, risultando più leggero.
La rivalutazione dei contributi
I contributi accreditati sono soggetti a rivalutazione annuale in base all’andamento medio nel quinquennio precedente del prodotto interno lordo (PIL). Nel 2015 per la prima volta tale media è risultata negativa. L’effetto è stato “sterilizzato” e i montanti contributivi maturati non sono stati soggetti alla riduzione che l’applicazione letterale della normativa avrebbe comportato. La legge n. 109/2015 all’articolo 5 ha infatti stabilito che in ogni caso il coefficiente di rivalutazione del montante contributivo non possa essere inferiore a uno, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive. Nessuna riduzione sarà quindi apportata ai montanti contributivi maturati. La sessa legge ha anche stabilito che in sede di prima applicazione delle disposizioni introdotte non si farà luogo al recupero sulle rivalutazioni successive.
Coefficienti e aspettativa di vita
Al pensionamento il montante dei contributi maturato viene convertito in rendita applicando una serie di coefficienti stabiliti per legge che dipendono dall’età del lavoratore al termine dell’attività lavorativa. I coefficienti si riducono al crescere dell’età pensionabile perché direttamente collegati all’aspettativa di vita futura del pensionato, tant’è che vengono aggiornati periodicamente. L’idea di fondo è che al lavoratore si debba riconoscere una prestazione equivalente in termini finanziari ai contributi che sono stati versati.
I coefficienti di trasformazione vengono rivisti periodicamente per tener conto dell’evoluzione della sopravvivenza media della popolazione italiana. I coefficienti sono stati rivisti da quest’anno, quindi sarà introdotta un ulteriore revisione al 1° gennaio 2019 e successivamente dal 1° gennaio 2021 in poi con cadenza sempre biennale. Nella sostanza i nuovi coefficienti di trasformazione introdotti dal 1° gennaio 2016, determinano una riduzione delle prestazioni maturate da tutti i lavoratori che si pensioneranno. La riduzione risulterà mediamente pari a circa il 2%. I coefficienti aggiornati sono infatti applicati sull’intero montante contributivo maturato al momento del pensionamento. A titolo puramente indicativo, ipotizzando un pensionamento a 65 anni il valore aggiornato da utilizzare per convertire in pensione il montante maturato è pari a 5,326%, il previgente risultava pari a 5,435%. In termini di pensione, a fronte di un ipotetico montante accumulato di 200 mila euro, l’importo della pensione sino al 31 dicembre 2015 sarebbe stato di 10.870,00 euro annui, mentre a partire dal 2016, a parità di montante, la pensione sarebbe pari a 10.652,00 euro annui.