La formula light, agevolata, del riscatto degli anni di studi universitari fa gola a tutti. D’altronde, il vantaggio economico rispetto alla procedura ordinaria è evidente. Nell’ipotesi di un lavoratore dipendente con uno stipendio lordo annuo di 30.000 euro, per fare un esempio, si pagherebbe circa il 50% in meno. Ma si tratterebbe comunque di un investimento importante, anche se rateizzato su 120 mesi: parliamo di una spesa complessiva di 21.056 euro per una laurea quadriennale e di 26.320 per una di cinque anni. Proprio per questo la scelta va ponderata bene. E se da un lato è vero che non c’è una regola generica e oggettiva da seguire, dall’altro lato è pur vero che sono diversi gli elementi che possono essere presi in considerazione per valutare la convenienza o meno del riscatto della laurea.
Le condizioni
Uno dei fattori principali da analizzare è sicuramente il fattore tempo, ovvero la reale possibilità di poter anticipare l’età pensionabile, che è tra gli obiettivi primari del riscatto. A oggi, i requisiti per accedere alla pensione sono due: avere 67 anni di età (vecchiaia), oppure aver maturato contributi per 41 anni e 10 mesi se donne o 42 anni e 10 mesi se uomini (pensione anticipata). Solo per coloro che ricadono esclusivamente nel sistema contributivo, dal 1996, se verrà maturato un assegno previdenziale mensile pari o superiore a 2,8 volte quello dell’assegno sociale di 458,93 euro, il requisito anagrafico scende a 64 anni di età con 20 di contribuzione.
Il paradosso dei 30 anni
Questo vuol dire che, pur riscattando la laurea (in forma light o ordinaria), non tutti hanno la possibilità di anticipare l’età del pensionamento. Chi ha iniziato a lavorare a 30 anni, per fare un esempio, raggiungerà il requisito di pensione anticipata (cioè i 42 anni e 10 mesi di contribuzione) a quasi 73 anni e riscattando quattro anni di corso di laurea potrebbe anticipare il pensionamento a quasi 69 anni, ben oltre quindi il requisito dei 67 anni (o 64), da incrementare con le speranze di vita. In questo caso, quindi, come unico vantaggio si otterrebbe un aumento dell’assegno pensionistico, che sarà parametrato all’importo versato (quindi più basso con il riscatto in forma light).
Il caso dei 23 anni
Invece, il discorso cambia per chi ha iniziato a lavorare a 23 anni. In questo caso, il primo requisito utile per andare in pensione scatterebbe a quasi 66 anni (sempre con i 42 anni e 10 mesi di contribuzione) e quindi riscattando gli anni di laurea riuscirebbe ad abbandonare il lavoro già a 62 anni. Insomma, chi ha iniziato a lavorare presto, dopo essersi laureato in corso potrebbe avere convenienza a riscattare gli anni di studi. Senza dimenticare che in alcuni casi il riscatto può servire ad entrare in Quota 100 o in opzione donna, come accade ad alcune lavoratrici 60enni della tabella accanto: con tre o cinque anni riscattati potrebbero complessivamente anticipare la pensione di quasi sette.
Il danno contributivo
Prima di scegliere, però, per chi ha una storia lavorativa antecedente al 1996 ci sarebbe un altro elemento da prendere in considerazione, ovvero il cosiddetto danno contributivo. Riscattando la laurea in forma light infatti, si dovrà rinunciare in modo irreversibile al sistema misto (calcolo della pensione con il metodo retributivo per gli anni precedenti al ‘96 e con il metodo contributivo per gli anni successivi) a favore di quello contributivo.
Il massimale di stipendio
Questo vuol dire che «chi negli anni antecedenti al 1996 aveva uno stipendio più basso rispetto a quello degli ultimi 5-10 anni della vita lavorativa ne uscirà penalizzato.Ma il passaggio da misto a contributivo andrebbe a penalizzare anche la contribuzione futura dei redditi più alti, in quanto il ricalcolo dei contributi sarà soggetto all’applicazione del massimale annuo contributivo, pari 103.000 euro lordi annui (i contribuiti sono pari al 33% dello stipendio lordo, di cui due terzi pagati dal datore di lavoro, ndr). Quindi chi avrà uno stipendio superiore al massimale di 103.000 euro sarà penalizzato in termini di contribuiti versati».