Il difficile cammino della previdenza complementare: riflessioni e suggerimenti

 

previdenza complementareRiflessioni

La previdenza complementare può consentire un sensibile innalzamento dei tassi di sostituzione e questo appare ancora più evidente anche alla luce dei positivi rendimenti conseguiti in questi anni dai fondi pensione, ben superiori sia a quelli del TFR, sia ai tassi di capitalizzazione della previdenza pubblica, legati all’andamento del PIL.

E’ innegabile che in Italia la previdenza complementare ha avuto uno sviluppo difficile, ben distante da quanto all’inizio ci si aspettava: bassi tassi di adesione, pochi giovani e poche donne, irregolarità della contribuzione, richieste di anticipazioni, età d’ingresso mediamente superiori ai 40 anni, scelte più fiscali/finanziarie che previdenziali, scelta di strumenti condizionata più dall’offerta degli operatori che da una razionale valutazione da parte del cliente.

A questo si dovrebbe poi aggiungere l’effetto associato all’eccessiva attenzione posta dai soggetti promotori degli strumenti pensionistici – e dallo stesso legislatore – sul tema dei vantaggi fiscali. La possibilità di portare in deduzione i contributi versati a forme di previdenza complementare garantisce un vantaggio immediato e ben percepibile, tanto più elevato quanto maggiore è l’aliquota marginale IRPEF d’imposta sul reddito. Il risultato finale è che l’incentivo va a favore, in modo particolare, dei soggetti più abbienti; un lavoratore part time o un precario a basso reddito finisce invece per avere solo vantaggi fiscali marginali. Ad ampliare questi effetti concorre popi la norma della riforma Maroni del 2004 con la quale la tassazione delle prestazioni erogate da forme di previdenza complementare avviene attraverso un’aliquota proporzionale del 15%, che si riduce sino a un 9% dopo 35 anni di adesione. La combinazione di deduzione dei contributi e di una tassazione fissa e di basso importo crea dunque un vantaggio economico che si concentra soprattutto sulle categorie che avrebbero meno necessità di previdenza integrativa: soggetti con una vita lavorativa/contributiva più lunga e con redditi elevati: l’esatto contrario del profilo di “giovane precario dalla carriera incerta.

Suggerimenti

Eppure sarebbero sufficienti pochi interventi legislativi per rilanciare la previdenza complementare, che ponga al centro dell’attenzione le generazioni più giovani e gli effettivi assetti del mercato del lavoro. Una proposta potrebbe essere articolata secondo le seguenti linee:

  • riconoscimento di uno sgravio dei contributi INPS, suddiviso tra lavoratore e datore di lavoro, subordinato all’adesione in una forma di previdenza complementare, adesione che rimarrebbe comunque volontaria;
  • sganciare il godimento della prestazione complementare dal diritto alla pensione pubblica per permettere di utilizzare il patrimonio accantonato come integrazione del proprio reddito qualora si decida di ritirarsi anticipatamente oppure si passi a un rapporto part time nella fase finale della carriera lavorativa. Questo consentirebbe di trasformare la previdenza complementare in uno strumento di tutela lungo tutto l’arco della vita: non solo la pensione, ma anche lo studio, la disoccupazione o l’avvio di un’attività produttiva piuttosto che di una famiglia;
  • un sistema fiscale che preveda sempre la possibilità di esentare da tassazione i contributi versati (si deduzione) ma, allo stesso tempo, anche l’esenzione dalla tassazione dei rendimenti realizzati, assoggettando le prestazioni nella base imponibile dell’imposta IRPEF – modello prevalente a livello europeo;
  • infine, in alternativa all’ultimo punto, un sistema fiscale che preveda la tassazione dei contributi versati (no deduzione) per evitare che i vantaggi finanziari siano prevalentemente a favore dei più abbienti e con meno necessità di ricorrere a forme integrative. Questo porterebbe a maggiori entrate tributarie che potrebbero essere destinate per incentivare, in qualche modo, l’adesione di coloro che “vorrebbero” ma “non riescono”.

Lascia un commento