PEEP è l’acronimo inglese che significa “prodotti pensionistici individuali panaeuropei” (Pan-European Personal Pensione Product). Li ha proposti la Commissione europea lo scorso mese di giugno ed ora sono arrivati sul tavolo dell’Europarlamento che dovrà dare loro il via libera.
Non è prevista alcuna armonizzazione dei regimi, ma caratteristiche comuni e un passaporto che garantirà la loro trasferibilità all’interno dell’Unione. I nuovi strumenti si affiancheranno a quelli nazionali già esistenti e potranno essere scelti in modo volontario per garantirsi una pensione di scorta valida sul territorio europeo.
Oggi circa il 27% dei cittadini europei ha sottoscritto una forma di previdenza complementare. Il mercato della previdenza integrativa in Europa appare però molto frammentato e discontinuo.Il valore dei portafogli in gestione è differente a seconda dei Paesi: in Danimarca è il doppio del P.I.L., in Germania è al 6,8% e nel nostro Paese al 9,4%. Indubbiamente il mercato della previdenza integrativa in Europa è in crescita ovunque ed è destinato a svilupparsi sempre di più.
Oggi il patrimonio in gestione è di circa 700 miliardi di euro ed entro il 2030, con l’introduzione dei PEPP, potrebbe superare i 2.000 miliardi.
La portabilità è certamente uno dei maggiori pregi di questi nuovi strumenti ma, per favorirne la diffusione e l’appetibilità, la carta da giocare è quella degli incentivi fiscali. L’Unione Europea ne è consapevole raccomandando gli Stati membri a riservare ai PEPP lo stesso trattamento fiscale concesso agli strumenti nazionali esistenti.
Circa la metà dei Paesi OCSE prevede un’esenzione fiscale sui contributi e sui rendimenti (modello EET). In altri, come l’Italia, la Danimarca e Svezia, la tassazione riguarda invece i rendimenti e le prestazioni (modello ETT).
La palla è ora nel campo dell’Europarlamento. La Commissione affari economici inizierà subito a occuparsi del tema presentando un primo rapporto. A fine marzo è prevista invece una nuova riunione del gruppo di lavoro tecnico creato.