Una delle più frequenti domande che ci si pone alla scadenza di una polizza vita è: “mi conviene riscattare il capitale o convertirlo in una rendita vitalizia?” Premesso che la risposta più razionale è che la scelta deve essere fatta in funzione delle esigenze del singolo, ovvero del perché è stato stipulato inizialmente il contratto, l’obiettivo di questo approfondimento è di fare una semplice dimostrazione matematica finalizzata a rispondere all’annosa questione pur con delle precisazioni non di secondaria importanza.
Per prima cosa è bene sapere che una volta scelta la prestazione in rendita non è più modificabile e, quindi, deve essere ponderata attentamente.
Un aspetto critico della rendita vitalizia è che se il decesso dell’assicurato avviene prima di aver ricevuto indietro tutto il capitale versato, dal punto di vista finanziario, non è stata di certo un’ottima scelta. Tralasciando per il momento le possibilità che, in ogni caso, potrebbero risolvere quest’aspetto (rendita certa e successivamente vitalizia, rendita reversibile, rendita vitalizia con restituzione del capitale residuo caso morte) proviamo a fare un esempio concreto analizzando il seguente caso.
Mario e Antonio
Supponiamo che due soggetti, Mario e Antonio, abbiano sottoscritto una polizza vita (con tasso tecnico 2%) all’età di 35 anni, con una durata pari a 20 anni e che, a scadenza, sia maturato un capitale complessivo di 100.000,00 euro per entrambi. Mario decide di convertire la prestazione in rendita vitalizia mentre Antonio pensa di riuscire a fare meglio gestendo in proprio il capitale maturato e decide quindi di riscattare la prestazione sotto forma di capitale.
La rendita vitalizia derivante dal capitale, secondo il tasso di conversione pari a 22,7 (maschio, 55 anni, rendita pagata annualmente, tasso tecnico 2%) sarà pari a 4.405,00 euro, rivalutabili ogni anno. La rendita vitalizia percepita da Mario si rivaluta di poco ogni anno perché bisogna scontare il “tasso tecnico”, già precontato nel coefficiente di conversione, dal rendimento, ma la incasserà fintanto che sarà in vita e senza avere problemi di come investire al meglio (e in tutta sicurezza) il capitale.
Per effettuare un’analisi comparativa corretta, supponiamo che Antonio prelevi dal capitale ogni anno la stessa cifra incassata da Mario (4.405,00 euro) e che il tasso di rendimento realizzato sia del 2,5% lordo, ovvero dell’1,85% al netto della tassazione del 26%).
Trascorsi 27 anni (ossia, all’età di 83 anni) il capitale di Antonio si è azzerato e l’anno successivo Mario incassa una rendita vitalizia di circa 5.150,00 euro mentre Antonio deve pensare a come vivere, come illustrato nel grafico illustrativo sottoriportato:

I più ostinati difensori della prestazione capitale obietteranno: ” si, va bene, ma se il decesso fosse avvenuto non dopo 27 anni bensì dopo 10, Antonio avrebbe ancora un capitale di circa 70.000,00 euro mentre Mario avrebbe perso tutto quindi la scommessa l’avrebbe vinta Antonio! “
Come è doveroso fare in ogni occasione di “consulenza professionale” cerchiamo di analizzare questa obiezione portandola dallo status emotivo verso quello razionale.
Considerazioni da fare:
- In caso di decesso nessuno dei due potrebbe comunque disporre del capitale residuo; se l’esigenza è quella di garantire un capitale in caso di premorienza, questa non è assolutamente la soluzione migliore;
- Per quello che ci è dato di conoscere, la probabilità di premorienza (all’età di 55 anni) dopo 5, 7, 10 20 0 30 anni è la medesima;
- Le prestazioni erogate da tutte le polizze (ramo vita e danni) sono possibili solo perché si accetta il c.d. “principio di mutualità”, siamo in tanti a versare a favore dei pochi che incasseranno la prestazione. Se questo principio vale per il ramo danni, la stessa cosa deve essere per il ramo vita dove il rischio coperto è proprio “la longevità o lunga sopravvivenza”. Il capitale lasciato alla Compagnia serve, appunto, per coprire il rischio longevità.
“Va bene, ma se l’età a scadenza non fosse 55 anni ma 65 o 70 la vita residua si accorcia e le probabilità di premorienza aumenterebbero ….”
Certo, ma l’esempio non cambia perché anche l’importo della rendita non sarebbe di 4.405,00 euro bensì molto superiore e, di conseguenza, il capitale si ridurrebbe più velocemente.
Per concludere, è fondamentale capire quale sia la vera esigenza da risolvere, se si tratta di accumulare del risparmio per spese future o per lasciarlo in caso di premorienza, di sicuro la rendita non è la soluzione migliore; se,invece, l’esigenza è garantirsi un entrata periodica certa, a potere d’acquisto costante e per tutta la vita residua, la soluzione rendita non ha concorrenti.