Con l’iniziativa della “busta arancione” il cittadino può farsi un’idea della propria pensione futura. Grazie a questo strumento il lavoratore ha la possibilità di comprendere quale potrà essere la sua posizione previdenziale e, almeno in teoria, essere sollecitato a trovare possibili soluzioni. Ma esiste il rischio di cadere nella trappola di venditori senza scrupolo.
Anche i siti web dei fondi pensione offrono la possibilità di effettuare simulazioni della propria pensione futura e di quanto occorre risparmiare per costruirsi una rendita integrativa ma la credibilità della “busta arancione” è molto più forte grazie al timbro di “ufficialità” che conferisce l’Istituto pubblico.
Sono circa 6 milioni (il 25% circa del totale) i lavoratori che oggi aderiscono a forme di previdenza complementare, la parte del leone la fanno i PIP, seguiti dai Fondi pensione aperti e dai Fondi negoziali (di categoria). Ma come mai i fondi di categoria si ritrovano in ultima posizione? Perché un lavoratore dipendente dovrebbe rinunciare al contributo del datore di lavoro per aderire a un PIP o a un Fondo aperto? Generalmente l’offerta di adesione a un Fondo negoziale è lasciata per lo più alle organizzazioni sindacali di categoria attraverso l’organizzazione di assemblee e riunioni per informare delle caratteristiche e dei vantaggi e raccogliere le adesioni. Diversa è la situazione per i PIP e i Fondi pensione aperti che sono distribuiti da Banche e reti di vendita di Compagnie Assicurative (Agenti) e SIM (Promotori finanziari). A garantire sulle norme di trasparenza e di tutela del risparmiatore c’è la COVIP (organismo di sorveglianza pubblico della previdenza complementare) ma questo non esclude la possibilità di incorrere in spiacevoli sorprese. E’ evidente che la documentazione è in regola e conforme alla normativa della COVIP c’è sempre chi promette e imbonisce a “ruota libera”.
L’iniziativa d’informazione da parte dell’INPS (tardiva ma necessaria) sicuramente contribuirà in maniera consistente all’aumento della consapevolezza e, conseguentemente, delle adesioni alla previdenza complementare. Tutto questo ben venga, naturalmente, ma la preoccupazione nasce dal fatto che, in molti casi, le scelte dei risparmiatori non saranno così razionali e consapevoli come dovrebbero essere ma piuttosto verranno “guidate” dall’interesse personale di qualche venditore d’assalto. Ad avvalorare questo timore è anche l’art. 15 del ddl in discussione in Parlamento, che prevede la totale portabilità della posizione previdenziale maturata dal lavoratore in qualsiasi forma di previdenza complementare. Cosa significa? Sino ad oggi se si trasferiva la posizione, da quello di categoria (Fondo chiuso) a un Fondo aperto piuttosto che a un PIP, non si poteva più beneficiare del contributo del datore di lavoro, perché si tratta di un beneficio stabilito in sede di contratto collettivo di lavoro (stipulato tra datore di lavoro e sindacato di categoria).
Al di la’ che si possa o meno essere d’accordo con quest’iniziativa, così facendo si crea una concorrenza tra strumenti che hanno come finalità il guadagno (Fondi aperti e PIP) e strumenti “no profit” come i Fondi negoziali. Se la portabilità totale verrà approvata è prevedibile che una marea di venditori si riverserà presso tutti gli iscritti ai fondi chiusi proponendo il trasferimento della loro posizione. Questi strumenti sono i soggetti a maggiore rischio di “scippo” e una delle possibili azioni di difesa potrebbe essere quella di cambiare le strategie d’investimento, aumentando gli investimenti di breve termine, invece che di lungo. Una contraddizione con un’altra decisione annunciata dal governo, quella di favorire gli investimenti delle forme pensionistiche nel medio e lungo periodo.