Il 29 gennaio è entrato in vigore il decreto legge su Quota 100 che consente di poter andare in pensione con 38 anni di contributi e 62 di età. Nel provvedimento c’è anche il congelamento (no adeguamento all’aspettativa di vita) dei requisiti per la pensione anticipata, la proroga dell’Ape social e dell’opzione donna.
In questo articolo ci limitiamo a capire nel dettaglio tutti gli aspetti di Quota 100.
una misura non strutturale
Quota 100 è un provvedimento sperimentale, sarà valido nel periodo 2019 – 2021, poi si vedrà. Nel 2019 gli assicurati INPS privati (dipendenti, artigiani, commercianti e coltivatori diretti) potranno ottenere il primo assegno (se i requisiti sono maturati entro il 2018) il 1° aprile 2019, mentre i dipendenti pubblici dovranno attendere il 1° agosto. Sono state infatti ripristinate le così dette “finestre mobili”: 3 mesi per i privati e 6 mesi per i pubblici.
Si tratta di una misura in netto contrasto con il diritto acquisito, vediamo perché:
Supponiamo un lavoratore privato che ha maturato 62 anni di età e 38 di contribuzione il 1° febbraio 2019, il primo assegno della pensione gli sarà erogato il 1° giugno 2019, cioè tre mesi dopo la domanda. In sostanza l’INPS si trattiene, senza alcun motivo, gli importi di pensione di marzo, aprile e maggio! E se invece che essere un lavoratore privato fosse un dipendente pubblico, addirittura il primo assegno lo vedrebbe il 1° settembre 2019, ben sei mesi dopo la maturazione dei requisiti.
A causa della finestra di 3 mesi, rispetto a coloro che vanno in pensione normale di vecchiaia (a 67 anni di età con 20 di anzianità contributiva) il “beneficio” si traduce in soli due mesi per i lavoratori privati (il 1° gennaio 2019 è scattato l’aumento, per l’aspettativa di vita, di 5 mesi per l’età anagrafica, da 66 anni e 7 mesi a 67 anni). I 5 mesi di adeguamento all’aspettativa di vita media vengono invece interamente assorbiti per un dipendente pubblico che dovrà attendere ben sei mesi prima di poter ricevere il primo assegno pensionistico.
A parere di chi scrive, le finestre di uscita possono essere definite come un “furto legalizzato” di un diritto acquisito, abolite, per questo, dalla riforma Fornero e reintrodotte dal Governo Conte.
Divieto di cumulo con il proseguimento del lavoro
La pensione in Quota 100 non consente di proseguire l’attività lavorativa. Questo ci sembra un provvedimento coerente per il solo fatto che la possibilità di scegliere tra reddito da lavoro e pensione è sacrosanta ma una volta fatta o si è lavoratori o si è pensionati, è impensabile essere entrambi.
A detta del Governo, quota 100 dovrebbe liberare nuovi posti di lavoro e il divieto di cumulo va proprio in questo senso; ma allora qualcuno ci deve spiegare perché questo divieto vale solo fino al raggiungimento dell’età pensionabile di 67 anni?